Si chiama Maria, anzi, Maria do Mar. Quasi come se do Mar fosse il suo cognome. E dopotutto chi non vorrebbe chiamarsi “Del Mare”? Io, per esempio. Anzi, forse questo è il mio secondo cognome, sentito nelle vene in questo pomeriggio di gennaio in cui il vento spira forte, e le lacrime dell’oceano giungono prepotenti al tavolo. Mi trovo in una stradina dimenticata da Dio. Non che le altre strade siano da meno, ma questa è particolarmente dimenticata, tenuta all’oscuro da due strade più grandi che si intersecano. Tutte danno sul lungomare, in maniera irregolare perché i ciottoli che le compongono sono stati livellati in maniera differente dal vento. Qui tutto è un sali e scendi, sali e scendi, fino a un punto in cui questa stradina dimenticata ti porta direttamente da Maria Do Mar.
Per questo primo post del 2016, nordfoodovestest vi fa navigare in Portogallo, nel punto in cui l’oceano si affaccia alle porte delle chiese, le apre, le colora di azzurro e dorato. Fino a farvi piangere. L’emozione che si prova nel percorrere le piccole vie del centro di Nazaré è la stessa di quando si assaggia per la prima volta il Licor Beirao: non sai se prevale il profumo delle erbe, o la dolcezza che ricorda il miele, o l’alcol morbido che accarezza le labbra. Non sai nulla né devi sapere nulla, perché in questo angolo in cui Dio ha dato il meglio e poi piano piano, come un gabbiano, si è allontanato, lasciando le sue orme sulla spiaggia, Maria Do Mar è uno dei tanti gabbiani che volano in questo cielo azzurro e su questo oceano maestoso, terribile, straordinario.
Poco sopra Lisbona, Nazaré ci spalanca quadri immaginabili solo dagli occhi più sognanti: chiese affacciate sull’oceano, onde alte metri e metri come scale sull’infinito, statue consumate dal vento e dall’acqua, anziane signore vestite con gonne nere e calzettoni di lana rigorosamente colorati.
Sogno mentre scrivo di questi paesaggi, sogno mentre provo a racchiudere in poche righe l’inesprimibile del profumo di calamaro alla piastra di Maria Do Mar. Siamo in un ristorante? Sì, forse. Le panchine e le sedie di legno mi ricordano alcuni posti di montagna, poi però una bellissima coperta raffigurante una chitarra mi ricorda che siamo in Portogallo, nella terra di Pessoa, De Andrade, Amalia Rodrigues, il fado, le sette sardine servite con patate e insalata con le cipolle. Mi viene da piangere al pensiero di non riuscire a cogliere tutto questo non dicibile o raccontabile.
Allora mi fermo e resto in contemplazione. Maria è una allegra e nostalgica signora dai capelli rossi, disordinata e intensa come le quattro sale che arredano il suo ristorante. Tantissime bottiglie allineate, foto che la ritraggono mentre si destreggia nel fado (sì, Maria ogni tanto diletta i suoi commensali con una voce roca e struggente da vera fadista), coperte con chitarre, e poi reti da pesca, pentole arrugginite, un frigo a vista per i dolci e una griglia per il pesce da fare invidia al migliore brasero.
Profumi su profumi che si sovrappongono: prima il salmone, poi le sardine; poi il maiale preparato con le vongole e un mare di patatine fritte (uno dei piatti tipici è questa carne alla alentejana, ma tanto qui tutto è tipico), lo spiedino di pesce fresco, le cipolle dell’insalata e il sale sul pomodoro; l’olio portoghese che è intenso come la voce della fadista quando tocca la nota più alta. E poi l’uovo, quel profumo fortissimo di uovo nel dolce casero che è una torta tutta a base di tuorli d’uovo e caramello; per arrivare a quella mousse al cioccolato che con la mousse francese devo dire c’entra poco, ma va bene ugualmente chiamarla mousse perché si diffonde in bocca, il cioccolato è forte, dev’essere fondente ma profuma anche di miele. Una mousse che si sposa benissimo con il Licor Beirao e con il caffè da 65 centesimi che chiude un pasto da re. Re poveri ma ricchi. Qui a Nazaré, nel paese delle barche in legno colorate dai pescatori e dal vento, qui dove tutto si spiega e nulla si spiega, ti siedi da Maria e ti senti un re: riverito, coccolato, amato come un fratello che arriva dalle Americhe in nave e ha bisogno di cure. Poi ti alzi, saluti Maria e ti metti in cammino. Attraversi queste vie ripiene di panetterie e negozi di artigianato, passi di fronte a una chiesa rivestita di azulejos, saluti per la seconda volta la signora vestita di nero e lana che vende lupini e anacardi all’angolo della strada, e non puoi che sentirti povero e inerme, senza la capacità di pensare, senza la possibilità di vedere, toccare, assorbire. Puoi solo restare in ascolto, debole, povero ma non impoverito. Sei un re povero che in questo angolo di nulla ha toccato il mistero più immortale e profondo…
Anche Maria mi ricorda tutto questo. Adesso suo marito è lontano, in Norvegia, per lavoro. Lei mi mostra delle rose: gliele ha mandate lui, il suo innamorato dalla lontana Norvegia per il suo compleanno. Che tenerezza mi suscita questa donna stancata dal vento e dalle infinite portate, la conosco da poco e già mi sento di volerle bene. Le faccio i complimenti per quel meraviglioso spiedino di pesce affacciato su un piatto di patatine fritte che così assorbono il sudore del polpo. Lei per ringraziarmi mi bacia il palmo della mano, e io mi sento re ma anche povero, perché la sua anima così pura è forse troppo per me.
Oggi Maria mi fa assaggiare una torta ai pinoli con una crosticina sfiziosissima che intingo in un bicchierino di Moscatel de Setúbal, un vino liquoroso leggendario e quasi sconosciuto. Che meraviglia essere immersi in una leggenda sconosciuta, profumata e salata.
Maria mi sorride. Forse pensa al suo amore lontano, forse si chiede se sono rimasta contenta di quella torta ai pinoli. Come non potrei? Ma glielo dico, sorrido anche alla sua aiutante, Ruth: bellissima, cortese, la classica vicina di casa che ti invita per merenda a mangiare i migliori biscotti del mondo. Mi guardo intorno: la sala è già gremita o ancora gremita. Non so nemmeno più che ora siano, so che la gente qui da Maria mangia a tutte le ore; c’è una famiglia di inglesi qui accanto a me che si sta dividendo una bella caldeirada: zuppa di pesce con patate bollenti. E dire che fuori ci sono quasi sedici gradi. Ma cosa importa del caldo o del freddo: qui conta assaporarsi quel sughetto di pesce col pane fatto in casa, e poi un pezzetto di formaggio di capra per chiudere in bellezza…
Saluto Maria. La ringrazio, le chiedo di prenotarmi un tavolo per domani e lentamente mi dirigo verso il lungo mare. L’oceano mi stava aspettando, e anche il faro lontano sembra essere felice del mio arrivo. Ondeggio su e giù come una di queste barche blu ormeggiate sulla spiaggia, ondeggio e canticchio il fado di Maria. Penso che qui, in questo paradiso povero e ricco insieme, io ho radici non reali ma del cuore. Qui, tra le conchiglie rotte da onde troppo violente, cestini di nocciole e mandorle, biancheria stesa al sole e baccalà con patate e olive, qui nella terra del nulla e del tutto, io non posso che piangere di gioia. E allora mi fermo, ripenso a Maria do Mar, al suo ristorantino semplice, pieno di vita, pieno di storie tristi e felici, pieno di tutto quello che normalmente manca. Ripenso alla crosticina del salmone o all’abbrustolito dello spiedino. Ho ancora il profumo di pesce sulle dita e quello di pinoli nel naso. Anche il Vinho Verde bevuto insieme al pesce non era niente male…
Ecco tutto. Iniziamo l’anno con un posto che forse non esiste. Ma se vi sentite di viaggiare, se desiderate trovare in voi il coraggio di abbandonare l’ancora e veleggiare, Maria do Mar saprà aspettarvi: silenziosa, desiderosa, speranzosa. Lei e il suo fado profumato di pesce e pinoli. In questo angolo di paradiso ricco e povero che si chiama Nazaré…
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Restaurante Maria do Mar
R. Gulhim 13, 2450 – 223, Nazaré