Viaggio tra i vitigni altoatesini: IL PINOT BIANCO

La vite e il vino sono sogni piantati per terra…

Iniziamo dalla letteratura…

La vite e il vino vanno messi in un itinerario. Prima vanno incontrati, in natura e nei loro luoghi di produzione, vanno collocati, vissuti. Vi si devono presentare come un ospite o un padrone di casa. Formano poi, nel tempo e nello spazio, una compagnia, entrano nella memoria fissando immagini prima che gusti o abbinamenti. E nella memoria sono capaci di convocare paesaggi, situazioni, relazioni, racconti, fantasie, miti. Prendono perfino una fisiognomia sacra, religiosa.

Sono sogni piantati per terra.

Pensiamo alla leggenda del Paese di Cuccagna, celebre nel Cinque e Seicento: la vite cresceva spontanea, non c’era bisogno di lavoro e le vigne venivano legate con la salsiccia. Un’utopia alimentare fondata tutt’attorno alla vigna, come una festa infinita, dove il lavoro veniva trasfigurato.

Mario Soldati, regista e scrittore, aveva colto l’atmosfera narrativa del vino in Italia e lo andava a cercare pensando che fosse anche un simbolo del nostro Bel Paese.

Quando Soldati si trova in Alto Adige – il periodo dell’anno è marzo – le sponde, i giardini e i bordi strada sono fioriti di forsizie e “quel giallo squillante e festoso che decorava le rive delle montagne…  mi pareva identico, o quasi, al giallo delle ginestre. Sul finire del pomeriggio arrivammo a Bolzano… la città era un trionfo di fioriture primaverili, i Kettmeir padre e figlio ci attendevano..” (Vino al vino).

C’è amore per il vino. E Pinot è il primo nome che Soldati pronuncia arrivando là. Sembra che il Pinot diventi quasi, da quelle parti, un re d’Europa. Quel nome che sa di Francia, di Alsazia, di Germania. Un vitigno che sembra allearsi con i fiumi, con i corsi d’acqua,  dimostrando quasi che se il terreno, prevalentemente argilloso, non si irriga, l’acqua non si trasforma in vino.

Pinot bianco. Mentre sto elaborando questo pensiero, dell’Alto Adige cuore d’Europa mi imbatto ancora una volta nel pensiero di Soldati: “È l’Europa che comincia, pensavo. E che comincia nel solo modo che può cominciare davvero: così, con piccoli fatti concreti”. Qui la regionalità è internazionale: evoca Chardonnay e Lago Balaton, California ora e Mosella, Sicilia e Spagna. C’è perfino qualcosa di stile barocco in queste evocazioni. Assaporare, bere diventano fatti estetici.

… E andiamo avanti perdendoci in un vitigno

Senza ombra di dubbio il più fresco e fruttato tra i bianchi altoatesini, il Pinot Bianco ha saputo farsi strada egregiamente al punto da diventare uno dei fiori all’occhiello dei vitigni del territorio, insieme al Gewürztraminer e al Sauvignon. Conosciuto anche come Borgogna bianco, Pinot verde e Weissburgunder, il Pinot Bianco affonda le radici nei tempi antichi romani, probabilmente in area alsaziana, e nasce come mutazione genetica del pinot nero.

La sua foglia è medio-piccola, pentagonale e tondeggiante; il grappolo è piccolo, cilindrico, abbastanza compatto; la buccia degli acini è sottile, tenera e di un bel colore giallo dorato intenso quando è a piena maturazione.

Dalla produttività discreta e regolare e con maturazione verso l’inizio di settembre, si dimostra molto adatto alla spumantizzazione (pensiamo in Alsazia anche al celebre Crémant d’Alsace) e restituisce vini di un bel giallo paglierino, dove l’eleganza di mela, albicocca, pera e limone incontra note di nocciola e un erbaceo delicato di fieno. Buona acidità, discreta struttura e un’ottima versatilità fanno del Pinot Bianco un vino da scegliere per le sue raffinate sfumature e la buona resa con molteplici abbinamenti.

Temperatura di servizio e consigli di abbinamento

10-12° C | aperitivi, primi di pesce o carni bianche, frutti di mare, vellutate, piatti della tradizione altoatesina

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