Pane, salame e noci con Il Pitocchetto

Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
[George Bernard Shaw]

La natura morta italiana…

Tra fine ‘500 e ‘600, in Italia, in particolar modo in area lombarda, il genere della natura morta trova nelle ‘alzate’ con frutta e fiori un indiscutibile e un acuto realismo.

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Ma un’attenzione particolare va rivolta, attraverso i secoli, alla ricerca della bellezza dei frutti di natura e della seduzione alimentare dei cibi quali soggetti ad alto potenziale estetico, quindi alle opere sul tema del ‘cibo  disposto’ realizzate, già in pieno ‘700, da GIACOMO CERUTI, conosciuto come IL PITOCCHETTO per aver dipinto il mondo degli umili, cioè dei pitocchi. La sua Natura morta con pane, salame e noci testimonia la vanità del piacere e l’essenziale come filosofia dello spirito, in un contesto intellettuale che nella seconda metà del ‘700 avrebbe poi fatto maturare la punta avanzata dell’Illuminismo italiano.

Quella vichiana reversibilità tra il vero e il fatto (Verum et factum convertuntur) orientava, anche nella ricerca pittorica del Ceruti, verso la conquista della realtà mediante la sua attenta rappresentazione, quasi che conoscere e perlustrare il vero dipendessero dal dipingerlo. Il dipinto espone gli alimenti di un pasto apparentemente frugale, con noci accostate a pane e salame e una brocca di vino rosso.

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Se il cibo è parsimonioso, l’impressione di una ‘nobile semplicità’ è conferita dal lucente piatto in peltro, dal bicchiere, dal coltello in ferro e osso, dalla brocchetta in ceramica rustica e soprattutto dal piacere percettivo che risiede nella valorizzazione -o meglio, celebrazione- dei cibi modesti. La fragranza del pane, il sapore del salame, i gherigli delle noci belle da toccare oltre che da gustare e l’orchestrazione dei tre sapori insieme dovevano convincere che la ricchezza abita nella semplicità e che il cibo umile è foriero di piaceri essenziali quanto sensorialmente coinvolgenti.

L’intenso verismo permette al Ceruti di trovare tracce liriche altamente evocative di sensibili stati d’animo anche nel più prosaico soggetto alimentare; ma diversamente dalle ciotole di minestra che compaiono come dettagli nei suoi dipinti pauperistici, in questo caso è il cibo che diventa soggetto, assumendo rilievo degno di dirigere l’intimo sguardo dell’osservatore alle cose ordinarie che emergono, con la loro caratterizzata qualità espressiva, dalla quotidianità. La verità e il sentimento delle cose si contendono il diritto di appropriarsi della realtà, anche quella più disadorna e intima, mentre il potere catartico dell’arte le estrae dalla consuetudine e le trasforma in un fatto poetico ed estetico. I viveri perdono la loro pàtina domestica e frugale, per apparire in una lucida verità ottica, offrendosi senza inganni al desiderio. Come in generale la frutta secca che compare sulle tavole con cibo disposto o nelle nature morte, le noci si qualificano come cibo austero e discreto, proveniente da una tradizione povera che le annovera, insieme ai fichi e alle castagne, tra i frutti abbondanti per gli eremiti e tra le allegorie della Provvidenza poiché assicurano il nutrimento per tutto l’inverno. Per queste ragioni, oltre che per la loro caratteristica del gheriglio compatto e durissimo che contiene un interno tenero e dolce, le noci hanno un ruolo di preparazione dello spirito alla semplicità e all’umiliazione e si prestano ad essere metafore della rituale purificazione dell’anima nella ricerca della Verità. Accanto al salame e insieme al pane e al vino, le noci, al di là della loro qualità materica e oggettuale, sono testimoni dello spessore allegorico di tutto il dipinto nel suo insieme.

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Il salame – e più in generale gli insaccati – che qualche decennio prima del Ceruti era stato inserito in sontuose nature morte barocche, forse per le sue implicazioni simboliche che lo collegano alle viscere, al sangue, al sacrificio e alla divinazione, forse per l’eccelsa considerazione ereditata dal mondo antico di cui godeva la carne di maiale, forse per le allusioni e i palesi doppi sensi cui è da sempre sottoposto, o forse per il profumo intenso e sensuale che lo rendono inconfondibile e stuzzicante soprattutto quando è presentato insieme al pane e al vino (con tutte le loro valenze simboliche), è ritenuto l’espressione più autentica del piacere alimentare, del mangiare con gusto per antonomasia, e della massima trasgressione di gola.

Giacomo Ceruti ha inteso, in questa natura morta, superando la soglia dell’ornamento e del decorativo, rappresentare proprio con quella commistione di sapori essenziali, semplici e ricchi insieme, una poetica quanto lucida e contenuta allusione al godimento non solamente alimentare ma globalmente estetico delle vivande, attraverso cui giungere, per gradi di evocazione, alla corrispondente essenzialità dello spirito.

Pane, salame e noci, con i loro sapori e colori, accompagnati da un buon vino rosso, presentati alla maniera del Ceruti, valorizzati da un piatto in peltro e da una luce calda avvolgente, possono diventare l’occasione di rivisitare il cibo come inno alla sinestesia.

[Ave Appiano, dal libro “BELLO DA MANGIARE”, Cartman Edizioni]

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PANE, SALAME E NOCI ALLA MANIERA DEL PITOCCHETTO

Eccoci allora a realizzare una natura morta alla maniera di Giacomo Ceruti, cercando di riprodurre quel senso di semplicità allo stato puro, ma aggiungendo naturalmente del nostro, personalizzando l’arte, e in questo modo facendola anche un po’ nostra…

Ho scelto allora di preparare un pane speciale all’orzo e semi misti, e di accompagnarlo con dei salamini rustici mantovani, una composta artigianale biologica umbra e una crema di capra arricchita con verdure e spezie. Il tutto con un allestimento preciso fatto di oggetti semplici e antichi…

Risultato? Un’immersione pura, totale, avvincente nell’ARTE!

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