Mi piace definirmi Canned Fish Hunter ovvero… Cacciatrice di scatolette.
Qui vi racconto perché…
Le amo così tanto da averci scritto un libro…
Devo dire che grazie all’incontro con una scatoletta di anguille portoghesi alla scapece, la mia visione del pesce in scatola si è trasformata.
Anzi, forse in quel momento è nata per davvero.
Quelle anguille mi hanno mostrato che sì, l’immenso può concentrarsi in una scatoletta.
Che mondo straordinario quella della potenza del mare racchiuso in un spazio così minuscolo.
Che mondo commovente quello del polpo e del tonno che incontrano il pepe di Sichuan o il sidro bretone; le storie della “pescadora” di Saint Jean de Luz che pesca, cucina, inscatola, vende; i racconti di chi ancora crede che il fare tutto a mano sia la più bella rappresentazione di una forma d’amore.
Quanta dolcezza in queste sardine che invecchiano sott’olio e se hai la costanza di girare la scatoletta di tanto in tanto, loro si conservano per anni.
Che strano chiamarle “Conserve”. Come se davvero fossero custodi del mare, tempio di un tempo che assiste a uragani, tramonti, risacche, grandi onde, grandi rinunce. Senza stancarsi mai.
La storia del mare è la storia di una sconfitta: del male sul bene, della pigrizia sulla costanza, dell’inerzia sulla pazienza.
È la storia della vittoria: delle fede e della sapienza, delle tradizioni e delle antiche ricette, degli stemmi e delle medaglie che si trasferiscono di generazione in generazione.
Le amo per questo e per tutto ciò che sussurrano all’orecchio di ognuno: perché ogni scatoletta è come l’eco di una conchiglia.
Sta a noi ascoltarle, assaggiarle e raccogliere lì dentro, in quel pozzo che ha ben poco di buio ma tanto di profondo, tutta la sostanza più primordiale e divina del mare. E quindi dell’uomo.
In queste foto: conserve bretoni, basche, portoghesi, spagnole, italiane, danesi, scozzesi, islandesi.
