Macugnaga ha il cuore walser. In visita al MUSEO CASA WALSER

Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso…

A. Manzoni, I Promessi Sposi

L’incontro con il paese di Macugnaga è stato amore a prima vista. Nascosto tra le montagne, curve su curve lo separano dal mondo dei comuni mortali. La vita reale rimane a fondovalle, mentre qui è magia pura, un incanto di legno e antiche leggende, storie da raccontare intorno al fuoco, racconti che sembrano irreali o impossibili o fantastici. Eppure è tutto vero. Vero come Maria Cristina e Giorgio, gestori della poetica Z’Makanà Stubu (https://nordfoodovestest.com/2016/06/15/macugnaga-ha-il-cuore-walser-a-pranzo-dalla-zmakana-stubu/) che si commuovono a parlare della loro terra; vero come le crostatine con marmellata di mirtilli del panificio Walser Bäckerai nel centro del paese; vero come ciò che si vede, ma prima ancora come ciò che si sente: questi posti avvolgono come coperte calde.

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Ci troviamo nella Valle Anzasca, o  Vischpertal in walser, e Macugnaga ne è il centro principale: situata nel Verbano-Cusio-Ossola, questa è una delle valli trasversali della Val d’Ossola. Qui, dove si vive bene e si mangia bene, anzi benissimo: miele di castagno del Monte Rosa; ribes, fragole, composte; ricotta di capra, formaggi stagionati o cremosi come il fornaleggio; mocette di cervo e cinghiale, bresaola alle erbe alpine; pane di segale, burro, torte e yogurt, tutto rigorosamente preparato in casa.

IMG_20160602_164242Il pranzo alla Z’Makanà Stuba si è trasformato in un viaggio per monti, laghi, torrenti. Mi sono sentita come Lucia dei Promessi Sposi, ma all’incontrario: il mio non è un addio, ma un buongiorno carico di voglia di scoprire e bisogno di riempirmi di tutta questa meraviglia. Così, saluto la Stubu e mi regalo una passeggiata nel paese: il tempo di prendere un caffè allo Jäger Bar, storico bar del centro dove la padrona, ormai anziana, parla walser. Un giro veloce, perché la signora Lia, responsabile del museo, mi sta aspettando.

Per raggiungere il MUSEO CASA WALSER bisogna riprendere la macchina: giusto un paio di minuti per raggiungere la piccola frazione di Borca. Qualche casetta in legno, una chiesa deliziosa in pietra e, soprattutto, il MUSEO ALTS WALSERHÜÜS VAN ZER BURFUGGU.

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Il museo viene inaugurato nel 1983 ed è ospitato all’interno di un’antica casa Walser datata 1610. Sulla soglia della porta c’è lei, Lia, che tiene le chiavi non di una casa ma di una storia, di un passato lontano e vicino insieme. Con un sorriso pieno di dolcezza e un entusiasmo coraggioso, la signora Lia mi conduce nei sette spazi che formano questa bellissima casa in legno: tutto, al suo interno, riproduce la vita di una comunità Walser. Non ho la percezione del freddo che si poteva provare qui con la neve fuori, non ho la percezione della fame e delle fatiche che gli abitanti devono aver patito. Ho solo la straordinaria percezione della poesia travolgente di questo posto. Mi fa riflettere chiamare poesia ciò che, fino ai primi tempi del secolo scorso, si chiamava povertà. Mi fa riflettere e commuovere insieme, perché penso a quanto, in angoli così privi di tutto, ci sia in realtà tutto.

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La migrazione dei Walser, genti di origine alemanna insediate nei territori intorno al Monte Rosa, ha avuto origine a partire dal XII-XIII secolo. La loro impresa di colonizzazione, in luoghi che fino a quel momento erano stati adoperati solamente per il recupero del foraggio, ha un che davvero di eroico: il loro insediamento è di volta in volta sempre accorto e rispettoso, ricco di tradizioni ma anche novità dal punto di vista economico e sociale. Per volere dei conti di Biandrate, i Walser si insediano a Macugnaga tra il 1256 e il 1291.

IMG_20160602_150725Qui, come nell’Alto Vallese, le abitazioni vere e proprie (das Hüs) – come quella del Museo – erano ben separate dal fienile (Der Gade) e dalla costruzione in cui si batteva ed essiccava la segale, ovvero der Stadel. La prima area che visito insieme a Lia è la cucina, das Firhus, e trovo che ogni singolo oggetto abbia la parola: il mestolo per rompere la cagliata, lo stampo per le candele, la forma per il burro. Oggetti in legno che Lia mi racconta uno ad uno. Quello che noi oggi chiameremmo “angolo cottura” costituiva davvero una piccola parte di tutta la casa: la sala vera e propria è la seconda, grande e calda perché qui la Stubu ovvero la stufa di steatite era sempre accesa.

Ecco perché ci sono i lettini dei bambini (Roll Bett perché dotati di ruote): era la loro stanza, ed era anche la stanza degli anziani. Il termine ‘caldo’ è piuttosto un eufemismo: non c’era mai caldo, e i materassi fatti con foglie di faggio dovevano aiutare a togliere i reumatismi.

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http://museowalser.it/

Lia mi fa toccare tutto. Prendo in mano un lenzuolo di canapa: la canapa non era della zona, ma veniva barattata per tesserla al telaio e farci le lenzuola. Sembra cartavetro, eppure era tutto ciò che avevano. Procedo nella mia visita alterando “Ohhhh” a “Incredibile”: mi sembra che si stia parlando della preistoria, quando in realtà queste abitudini di vita si sono protratte ancora nel Novecento. Non so se ritenermi fortunata per essere scampata a quelle fatiche di vita, o considerarmi in difetto per non aver mai visto di persona che cosa significasse costruirsi i rosari con i noccioli delle amarene. Perché qui c’è anche questo.

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Le pareti raccontano storie: come quei sabot in legno, pesanti come un macigno e con la suola rigorosamente chiodata affinché non si consumassero: “Un sabot doveva durare tutta la vita” mi sussurra Lia, quasi come se fosse un segreto. Restiamo ancora un attimo nella sala: un paio di finestrine e un unico tavolo, lungo e stretto,  e soprattutto piccolo. I tavoli grandi servono solo quando c’è tanto da mangiare, e non era questo il caso. La casa ha ancora due piani: quello inferiore ospitava la cantina, ed era la nonna a tenerne le chiavi. Saliamo al primo piano: gli scalini sono molto stretti, ma soprattutto i soffitti sono bassi e un paio di volte, nonostante le attenzioni di Lia, rischio di battere contro le travi.

Le stanze dei giovani sono ai piani alti: qui dove il caldo arrivava a fatica, e ci si scaldava con canottiere di una lana non trattata, quindi ai limiti dell’indossabile. Ne accarezzo una, le dita mi pizzicano… Lia mi chiama, mi fa notare una piccola finestra posta vicina a un letto: questa era “la finestrina dell’anima”, o Seele Fenster, che si apriva al momento della morte di un membro della famiglia, così da far uscire l’anima…. “Poi però si richiudeva subito, perché non si voleva che quello spirito tornasse indietro”…

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http://museowalser.it/

La finestrina dell’anima mi stringe il petto, eppure c’è qualcosa di ancora più toccante: la stanza dove si preparava il pane di segale ha ancora alle pareti gli strumenti usati per farlo seccare. A Macugnaga, dove gli usi e i costumi erano leggermente diversi rispetto agli altri Walser, si panificava il pane di segale solamente una volta all’anno. Le pagnotte fresche, per essiccarle, venivano girate da un bambino sulle rastrelliere, e questa operazione veniva fatta fischiando. Perché così si controllava che non venissero mangiate. Il pane una volta all’anno è la massima espressione di poesia e povertà insieme di questo luogo. Ancora una volta sospendo il mio giudizio di fronte a una scena che mi ammutolisce. E penso alle parole dello Chef Giorgio al ristorante: “Qui di tipico walser c’è la zuppa con il pane di segale”. Un piatto di estrema povertà ora diventa qualcosa di gourmet. E io osservo quei pani secchi con la sacralità che appartiene solo al pane. Incredibile, ancora una volta incredibile…

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Un’ultima occhiata alla cantina e concludo la visita. Ma questo non è un museo. Non visitatelo da spettatori: lasciatevi coinvolgere dalle parole di Lia, dalle scritte alle pareti “WIR WALSER”, dai rosari e dalle tantissime croci che vedrete. Lasciatevi prendere dal profumo del legno, dalla luce timida che entra dalla finestrina dell’anima. Accarezzate la lana pungente e prendete in mano una forma di pane secco, che ormai è pietra. Concentratevi sulla durezza degli zoccoli e sulla poesia dei foulard che si usavano durante i battesimi: venivano girati dal lato giusto solamente a battesimo concluso, così a indicare che il bimbo era entrato nel regno di Dio.

Questa casa Walser è una lezione di vita: una fiaba di legno, uno spaccato di povertà e poesia, un quadro di altri tempi che sono stati i nostri tempi. Un cuore pulsante di vita e silenzi, fatiche e sacrifici. Ai piedi di un monte che ha avuto il grande pregio di essere testimone di tutto questo incanto…

WIR WALSER!

CONTATTI

MUSEO CASA WALSER, Centro abitato Borca, 263. 28876, Macugnaga (VB).

http://museowalser.it/

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7 thoughts on “Macugnaga ha il cuore walser. In visita al MUSEO CASA WALSER

  1. Tradizione, poesia, cultura. I tuoi articoli fanno riflettere sul valore delle origini e guardare avanti a un futuro in cui saremo capaci di non perdere i tesori che abbiamo ereditato. Brava Chiara, non vedo l’ora di pubblicare il tuo libro;)

  2. A proposito di monti, ti consiglio caldamente un film che esalta in modo magistrale la bellezza della montagna: In mezzo scorre il fiume. L’hai già visto?

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